Scoperto il cervello vetrificato di una delle vittime di Ercolano
Sembrava un insignificante pezzo di roccia nera, in realtà si tratta di un cervello. O quel che ne resta.
Com’è noto, l’eruzione del Vesuvio avvenuta nel 79 dopo Cristo causò più di 2000 vittime fra le cittadine romane di Pompei ed Ercolano. A seconda di dove si trovassero al momento del disastro, le cause della morte di ciascuna persona possono essere state diverse: dalle esalazioni venefiche al crollo degli edifici (oggi si ritiene molti invece di fuggire fosse rimasto a vigilare sulla propria abitazione per prevenire atti di sciacallaggio), ma nell’immaginario comune è radicata la vista dei calchi dei corpi investiti dal flusso piroclastico, una massa di materiale magmatico e gas ad altissima temperatura sceso a gran velocità (dell’ordine delle centinaia di chilometri orari) dalle pendici del vulcano a travolgere e seppellire qualunque cosa o persona incontrasse sul proprio percorso, senza lasciargli possibilità di scampo alcuna.
L’enorme calore, oltre 500 gradi Celsius, è in grado di vaporizzare i tessuti molli ed essere causa addirittura dell’esplosione del grasso corporeo, mentre il successivo rapido abbassamento della temperatura avrebbe vetrificato quel che restava della vittima, grazie a un processo ancora non del tutto chiarito.
Ed è quel che dev’essere successo al cervello del Custode del Collegio degli Augustali, i cui resti furono individuati negli anni 60 adagiati su un letto di legno (l’edificio religioso stesso, dedicato al Culto di Augusto, era invece stato riscoperto già nel 1740).
L’idea quel frammento luccicante potesse in realtà celare questo macabro segreto venne nel 2018 a Pier Paolo Petrone, antropologo forense presso l’Università Federico II di Napoli. Le analisi effettuate da Piero Pucci del CEINGE, centro per le ricerche su biologia molecolare e biotecnologie avanzate, hanno ora confermato la bontà dell’intuizione.
In anni recenti l’avanzare della tecnologia ha permesso nuove scoperte, a livelli un tempo impensabili, come il caso dei tre uomini imparentati fra di loro e provenienti dal Vicino Oriente (quindi forse erano schiavi) secondo l’esame del DNA. E sarà questo il passo successivo nell’analisi del Guardiano: se si riuscisse a liquefare un frammento del cervello, devetrificarlo, per così dire, potrebbe essere possibile effettuare questo tipo di indagine anche su di lui. E vedremo quali sorprendenti scoperte ci riservano ancora Ercolano e Pompei, riportate alla luce, ricordiamo, solo in minima parte.
La ricerca, pubblicata sul The New England Journal of Medicine, è frutto della collaborazione fra il Parco Archeologico di Ercolano, il CEINGE e le Università di Cambridge e Federico II di Napoli.
Di Corrado Festa Bianchet
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