La sindrome di Münchhausen è un disturbo a sfondo delirante caratterizzato dalla produzione intenzionale di sintomi e segni fisici o psichici attraverso i quali si cerca di assumere il ruolo di malato, nonostante non sussistano elementi esterni che possano elicitare questa tipologia di comportamento.
Solitamente gli individui che ne soffrono rientrano tra i 20 e i 60 anni; gli uomini vengono colpiti maggiormente rispetto alle donne (con un rapporto di 3:1).
Il DSM (Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali) lo definisce in questo modo:
“Un disturbo cronico fittizio con segni e sintomi fisici predominanti che deve essere distinto dall’ipocondria, da manifestazioni iatrogene, dalla non compliance e da artifici di laboratorio”
Sono essenzialmente tre i criteri necessari per poter diagnosticare la sindrome. Il primo fa riferimento alle lamentele riguardanti i segni autoinflitti e in generale le condizioni autoprocurate, oltre alla possibilità dell’amplificazione di condizioni mediche preesistenti. Ovviamente è necessario tener presente che questa produzione intenzionale di sintomi e segni può avvenire in diverse combinazioni e varianti.
Il secondo criterio sta nel fatto che questo genere di comportamenti scaturiscono dal tentativo di assumere il ruolo del malato.
Il terzo criterio invece riguarda l’assenza di incentivi, come ad esempio vantaggi economici, nella scelta di fingersi in uno stato di malattia.
Una patologia direttamente ricollegabile a quella appena descritta è la sindrome di Münchhausen per procura (by proxy). In questo caso si assiste a una forma di cura eccessiva (ipercuria) nei confronti di un bambino, il quale viene sottoposto a continui e spesso inutili accertamenti derivati dalla convinzione di una malattia che in realtà non esiste.
In questo caso i segni e i sintomi vengono prodotti sull’infante, ma le azioni non devono comunque derivare da incentivi esterni e non sono attribuibili a qualche altro disturbo mentale.
Nella maggior parte dei casi è la madre ad indurre lo stato di malattia o a peggiorarlo nel figlio, arrivando ad un abuso che viene vissuto come una forma di cura. Non è inconsueto che il genitore in questione lavori nel campo medico e abbia una conoscenza approfondita della malattia che viene indotta.
Al di là dei danni fisici, spesso il bambino che si ritrova in questa condizione è costretto a vivere nel paradosso di una madre che dovrebbe accudirlo e che invece lo maltratta. Questo comporta, alle volte, la perdita della capacità di percepire le sensazioni corporee in modo appropriato, la quale può evolvere in disturbi psicotici quali il delirio ipocondriaco e dismorfofobico.
Anche il trattamento, in questa condizione che spesso vede la totale passività dell’altro genitore, appare difficile da applicare. Spesso ci si trova davanti ad un nucleo familiare nel quale entrambi i genitori presentano alti livelli di negazione e un disturbo della personalità.
di Daniele Sasso
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