“Se Colombo già nel 1492 aveva dimostrato che la Terra è rotonda, perché nel 1600 perseguitarono Galileo per aver sostenuto la stessa cosa?”. A molti è prima o poi, magari già durante la scuola dell’obbligo, capitato di porsi tale quesito di fronte a un’apparente contraddizione. In realtà entrambe le “versioni” più diffuse (ahimè anche attraverso proprio la scuola, oltre che i vari media, dai libri a internet passando per il cinema) sono errate. Detto che i problemi per Galileo derivavano non dalla forma del nostro pianeta ma dall’averlo tolto dalla sua posizione privilegiata al centro dell’universo, vediamo in modo più approfondito i luoghi comuni sul navigatore genovese.
È sì noto che il matematico e astronomo greco Eratostene di Cirene (280-195 a.C. circa) avesse già più di duemila anni fa calcolato con grande precisione in rapporto ai mezzi di cui disponeva il raggio e di conseguenza la circonferenza della Terra (39700 km in confronto a un dato reale, oggi sappiamo, di 40075 km all’equatore), ma non è vero che tale conoscenza fosse poi andata perduta e recuperata solo dopo la dimostrazione di Colombo: almeno la parte erudita della popolazione, e fra loro erano inclusi sia i navigatori che gli uomini di Chiesa, erano consapevoli di vivere su un corpo sferico e non piatto (certe rappresentazioni pittoriche di un mondo piatto vanno interpretate come simboliche). Allora, perché Cristoforo Colombo venne osteggiato, nel suo intento?
Le idee del navigatore venivano da testi tutt’ora noti e consultabili, incluso il celebre Milione solitamente attribuito a Marco Polo che avrà indubbiamente stimolato la sua curiosità e in cui viene citata l’esistenza del Giappone 1500 miglia a est della Cina e il fatto che il Mar d’India non era chiuso ma “connesso all’oceano”; ma i problemi sorgono con l’Imago Mundi del cardinale Pierre D’Ailly il quale riportava le misurazioni effettuate da Posidonio di Apamea che aveva replicato l’esperimento di Eratostene un secolo e mezzo più tardi, commettendo tuttavia un errore che lo portò a sottostimare le reali dimensioni della Terra (una circonferenza di 28000 km).
Poi ci fu il matematico e astronomo fiorentino Paolo dal Pozzo Toscanelli, amico e collaboratore del Brunelleschi, che realizzò un planisfero sottostimando la distanza fra le coste del Portogallo e quelle giapponesi, poiché il suo lavoro si basava sui dati a loro volta errati di Tolomeo: Toscanelli riteneva il percorso attraverso il mondo noto (la via di Marco Polo, in sostanza) fosse di 230° (sul totale di 360) mentre attraverso il mondo ignoto, via mare, sarebbe equivalso a 130°. Considerando il dato di partenza errato, Toscanelli riteneva la Terra avesse un diametro di 33000 km, risulta che la distanza fra le coste occidentali europee e il limite orientale asiatico fosse limitato a non più di 5000 o 6000 km.
In cerca di finanziamenti, Colombo scelse l’ipotesi a lui più favorevole, riducendo ulteriormente la distanza a poco meno di 5000 km.
Ed ecco il motivo dello scetticismo cui andò incontro: la stima sulle dimensioni della sfera terrestre più accettata dai navigatori era quella corretta, che implicava una distanza dal Giappone di circa 20000 km. Di mare aperto, si riteneva (e qui naturalmente erano tutti in errore). Sulle imbarcazioni dell’epoca potevano essere caricate provviste per non più di tre mesi, mentre il viaggio di 20000 km sarebbe durato un anno. Riducendo la distanza a 5000 km l’impresa è sì al limite, ma ancora fattibile.
Cristoforo Colombo riuscì infine a ottenere il minimo indispensabile: non tre caravelle, come comunemente noto, ma due caravelle e una caracca, un’imbarcazione un po’ più grande che portava il nome Galiziana, probabilmente dal luogo in cui fu costruita. Tuttavia dalle parti di Lisbona pare fosse anche il termine gergale per “prostituta”, quindi Colombo decise di ribattezzarla Santa Maria dell’Immacolata Concezione poco prima della partenza.
E le altre due? Orbene, le caravelle vere e proprie si chiamavano rispettivamente Santa Clara e… non lo sappiamo. Il vero nome della seconda caravella è tutt’ora ignoto: sia Niña che Pinta sono solo dei nomignoli attribuiti alle imbarcazioni dall’equipaggio. Nel secondo caso in riferimento al fatto che la piccola nave fosse stata ritinteggiata, nulla a che fare col trasporto della birra.
E in effetti Colombo ottenne dalla regina Isabella di Castiglia solo il minimo indispensabile per tentare la propria, folle impresa: tre piccole imbarcazioni di seconda mano (seppur maneggevoli e versatili) e un equipaggio non proprio di prim’ordine.
Per la Corona spagnola, che in quei tempi navigava in brutte acque, dal punto di vista economico, era un azzardo del tipo “Punto 100 euro sulla vittoria dello scudetto da parte di una squadra in teoria di bassa classifica: se vince divento ricco, se perde ci avrò rimesso pochissimo”.
In seguito Colombo si sarebbe dimostrato uno schiavista e un torturatore, sospetto confermato da documenti ufficiali dell’epoca di recente ritrovati. Ma, come si dice, questa è un’altra storia.
[Nella foto, mappa di Henricus Martellus: si ritiene anch’essa abbia influenzato le convinzioni di Colombo]
Di Corrado Festa Bianchet
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