I 17 Paesi megadiversi conservano la maggior parte delle specie animali e vegetali dell’intero pianeta Terra, un prezioso concentrato di biodiversità. Gran parte di queste nazioni è collocata lungo la fascia tropicale e negli ultimi mesi alcuni di questi, Brasile, Stati Uniti e Australia, sono con continuità nei notiziari per via degli incendi che ne stanno devastando i territori.
La situazione australiana è particolarmente tragica poiché le fiamme stanno divorando la superficie dell’intero Paese: tante persone rischiano di perdere la vita o tutto ciò che posseggono, mentre intere specie animali o vegetali potrebbero essere a oggi già estinte. Al di là dell’immediata e comprensibile reazione emotiva, gli effetti, anche a lungo termine, non sono da sottovalutare o ritenere che saranno circoscritti all’area colpita direttamente.
La nostra Terra fu già in passato afflitta da incendi di portata continentale o planetaria che ne ridefinirono in toto la biosfera e la sua composizione, i suoi equilibri. L’evento generalmente noto come Grande estinzione dei dinosauri ne è un esempio: sebbene i ricercatori concordino nell’individuare in un gigantesco asteroide (circa 10 km di diametro, più grande del Monte Everest) la causa scatenante del disastro, è altrettanto diffusa l’idea che non sia stato sufficiente l’impatto in sé con i suoi effetti immediati a far sparire dalla faccia della Terra il 75% delle specie che allora vi dimoravano; oltre all’effetto di oscuramento dell’atmosfera dai vitali raggi solari dovuto al sollevamento di materiale susseguente all’impatto e anche, si ritiene, a una contemporanea intensa attività vulcanica, l’asteroide avrebbe scaraventato in tutto il globo frammenti incandescenti causa di devastanti incendi che hanno interessato gran parte delle aree boschive del pianeta. Ritrovamenti fossili di cenere e fuliggine tendono a confermare la vastità del fenomeno. In tali condizioni, gli animali con una pur minima probabilità di salvarsi dovevano possedere alcune caratteristiche ben precise: vivere almeno in parte in acqua, la predisposizione a trovare rifugio in anfratti o cunicoli sotterranei, la capacità di volare o perlomeno di fuggire rapidamente dagli incendi. Oggi sappiamo che i coccodrilli anfibi sopravvissero a quel disastro, ma altrettanto non si può dei loro cugini che vivevano solo sulla terraferma. Alcune specie volanti si sono salvate ma altre no: la devastazione delle foreste segnò il destino dei volatili che avevano bisogno di posarsi sui rami mentre uccelli che si nutrivano a terra ebbero maggiori probabilità di cavarsela.
In definitiva, poche creature più grandi di un moderno gatto domestico scamparono al disastro al termine del Cretaceo.
In tempi molto più recenti, 12.800 anni fa, mentre la Terra stava uscendo dall’ultima Era Glaciale, l’esplosione di un altro oggetto venuto dallo spazio, forse una cometa, sarebbe stata all’origine di incendi che interessarono almeno il 10% delle terre emerse. Più o meno la superficie degli interi Stati Uniti o della Cina. In quel periodo fummo colpiti da un evento in controtendenza rispetto al riscaldamento in corso, noto come Dryas Recente, della durata di circa 1200 anni e che riguardò diverse aree del pianeta. La controversa teoria segnò un importante punto a proprio favore quando nel 2019 un team internazionale rilasciò i risultati delle ricerche relative a un cratere da impatto cometario in Cile, che andrebbe ad aggiungersi a ritrovamenti analoghi di minor rilevanza ma in zone molto distanti; la datazione degli impatti coincide con quella dell’estinzione della megafauna nordamericana e anche della drastica diminuzione di manufatti attribuiti al Popolo Clovis, che visse nel continente ma poi sparì. Il ritrovamento del cratere cileno amplia la portata degli effetti dell’Impatto cosmico del Dryas recente e conferma, con diversi impatti contemporanei in zone molto distanti fra loro, perché gli effetti sul clima abbiano interessato in modo diverso zone diverse del pianeta.
E oggi? La situazione di partenza è costituita da metà della superficie boschiva sparita nel corso dei millenni a causa dell’attività umana e solo dal 2000 a oggi abbiamo eliminato oltre il 7% delle foreste incontaminate. Nella “residenziale”, piccola Europa siamo riusciti al contrario a incrementare la superficie delle aree verdi rispetto all’inizio del Novecento, ma la situazione globale è inversa e preoccupante, con incendi che colpiscono il circolo polare artico come non avveniva da migliaia di anni. Zone come la Siberia e l’Alaska vantano terreni ricchi di torba e carbone che se dovessero prendere fuoco rilascerebbero nell’atmosfera impressionanti quantità non solo di CO2 ma anche di metano, un gas oltre venti volte più pericoloso riguardo l’effetto serra. Non si tratta di allarmismo, solo di una richiesta di buon senso.
Di Corrado Festa Bianchet