ScienzaStoria

La sindrome di Stoccolma (Parte II): il rapimento di Patricia Hearst e la teoria di Dee Graham

Un anno dopo l’evento che sancì la definizione della sindrome di Stoccolma, un altro caso entrò di diritto nella strana storia di chi finisce per immedesimarsi totalmente con i propri sequestratori.

Nel 1974, l’attrice Patricia Hearst venne rapita in California dall’Esercito di Liberazione Simbionese, un gruppo paramilitare americano contraddistinto da un’ideologia vicina alla sinistra radicale.

Il commando chiese un riscatto di ben 400 milioni di dollari per la liberazione della donna, da distribuire tra le famiglie bisognose che vivevano in povertà nelle strade dello stato.

Dopo il versamento, da parte della famiglia della Hearst, dei primi 6 milioni di dollari, un audio registrato dall’attrice e diffuso dal gruppo fece il giro del Mondo:

“Mi è stata data la scelta di essere rilasciata in una zona sicura o di unirmi alle forze dell’Esercito di Liberazione Simbionese per la mia libertà e la libertà di tutti i popoli oppressi. Ho scelto di restare e di lottare.”

La vita di Patricia cambiò in quella di una criminale. La donna iniziò a compiere rapine e attacchi terroristici ai danni delle forze dell’ordine. Nel 1975 fu arrestata dopo 19 mesi di ricerche insieme alla sua compagna, e condannata a 35 anni di reclusione.

La condanna venne in seguito ridotta a sette anni, e in seguito a 22 mesi per via di una grazia concessa dal presidente Jimmy Carter nel 1979.

Secondo la teoria sviluppata dallo psicologo Dee Graham, la sindrome si svilupperebbe a seguito di particolari fattori. Da questa convergenza deriverebbe la ridotta incidenza del disturbo, che necessiterebbe della simultaneità di questi elementi:

Una grave ed effettiva minaccia per la vita sia per il rapitore sia per il prigioniero;

In un contesto di terrore, gli ostaggi percepiscono anche minime gentilezze da parte dei loro sequestratori;

Non vi sono altre prospettive di salvezza se non da parte del rapitore;

L’impossibilità di fuggire

Un punto controverso della concettualizzazione di Graham starebbe nella particolare suscettibilità delle donne a sviluppare la sindrome. Le società di stampo patriarcale determinerebbero una particolare propensione del genere femminile a legarsi fortemente e a non riuscire a ribellarsi a persone che non fanno che ferirle fisicamente e psicologicamente.

Questa suscettibilità non sussisterebbe invece in quegli ambienti sociali contraddistinti da una forte emancipazione femminile.

Il fenomeno sarebbe quindi estendibile, in generale, ai vissuti familiari traumatici. I carcerieri, in tal senso, potrebbero essere i padri e le madri, i fratelli o i fidanzati.

Soprattutto per quel che riguarda i genitori, è evidente come un bambino abusato possa sviluppare un senso di attaccamento anche nei confronti di un ambiente violento, considerando normali dei comportamenti deprecabili che in fin dei conti rappresentano tutto il proprio mondo.

di Daniele Sasso

Rispondi