21 Novembre 2024
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Una molecola sintetizzata in laboratorio e irrorata sulle piante si dimostra un valido aiuto alle coltivazioni in caso di condizioni ambientali avverse.

L’opabactina permette ai raccolti con essa irrorati di sopportare meglio i periodi di siccità. Sono i risultati di una ricerca frutto della collaborazione fra università americane e giapponesi, esposti in un articolo apparso il 25 ottobre su Science.

La molecola interagisce con i recettori dell’acido absissico (ABA), un fitormone i cui effetti sui vegetali sono paragonabili a quelli del cortisolo sugli animali: causa reazioni conservative da parte della pianta in caso di condizioni ambientali problematiche e può, fra l’altro, indurre la dormienza dei semi impedendone la mutazione in pianta qualora le condizioni sembrino sì adatte alla germinazione ma non al successivo sviluppo e alla sopravvivenza del vegetale stesso.

Negli anni scorsi era stata scoperta una famiglia di recettori a cui l’ABA si “lega” per aiutare la pianta a contrastare gli effetti del freddo o della scarsità d’acqua e nel 2013 il team del dottor Sean Cutler (Università della California) aveva descritto la capacità di una molecola, la quinabactina, di conferire resistenza alla siccità alla soia e all’arabetta comune, un pianta di scarso valore agroalimentare ma importante per caratteristiche tali da renderla ideale come modello nella ricerca scientifica.

Ma la quinabactina fornì poi risultati contrastanti, variabili e nel complesso non soddisfacenti, quando testata su ulteriori coltivazioni di ampia diffusione mondiale quali il pomodoro e il grano. Ci si indirizzò quindi verso la ricerca di un’alternativa, portata avanti anche grazie alle simulazioni informatiche: in questo modo si è potuti in prima istanza passare da 18 milioni di molecole disponibili a sole diecimila basandosi sulla predizione del loro comportamento effettuata via software; 1724 composti sono quindi stati testati in vitro dai ricercatori e in seguito sottoposti a processi di ottimizzazione in base alla struttura dei recettori dell’ABA. Il risultato è la opabactina che provata in laboratorio su arabetta, grano e pomodoro ha mostrato efficienza nel prevenire la dispersione d’acqua dalle foglie e dagli steli e una persistenza di tali effetti per tutti i cinque giorni della durata del test laddove l’ABA, l’ormone naturale, si era rivelato efficace per un periodo massimo di tre giorni e la quinabactina per meno di due giorni.
In un altro test, piantine di grano trattate con l’opabactina totalmente private dell’acqua per tre giorni hanno iniziato ad appassire più tardi rispetto a quelle non trattate, riuscendo inoltre a preservare maggiori quantità di clorofilla.

Per quanto incoraggianti, i risultati derivano finora da prove in laboratorio; l’approccio presenta comunque molti vantaggi (al di là delle questioni etiche) rispetto ad alternative quali resistenza alla siccità indotta attraverso un intervento sui geni delle piante. Inoltre, l’agricoltore spruzzerebbe il composto sulle proprie coltivazioni esclusivamente se e quando necessario, come in caso di previsione di una stagione a rischio siccità, solo per il tempo necessario a superare l’evento.

Il cambiamento climatico in corso sta già causando molti problemi in tal senso, con ripercussioni economiche e sociali di peso crescente. La capacità dell’obapactina di incrementare la resistenza dei vegetali destinati all’alimentazione alle condizioni ambientali avverse costituirebbe un aiuto importante, sebbene non sia certo sufficiente da solo e vada inserito in un contesto di provvedimenti di ampia portata.

Di Corrado Festa Bianchet

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