Il lavaggio dei tessuti sintetici come il nylon o il pile è ritenuto una delle principali cause del rilascio di microplastiche dannose per la salute degli oceani. Tuttavia una ricerca della Newcastle University (Regno Unito) pubblicata sull’Environmental Science and Technology porta a una scoperta che potremmo definire controintuitiva: il ciclo delicato usato al fine di tutelare i capi d’abbigliamento e non rovinarli durante il lavaggio porta invece al risultato opposto: un maggior uso d’acqua danneggia i capi in modo sensibilmente maggiore rispetto a un lavaggio con meno acqua e un movimento più veloce e deciso del cestello della lavatrice. Con conseguente incremento nel rilascio di microframmenti strappati agli abiti.
I test rivelano che un ciclo delicato con maggior volume d’acqua rilascia addirittura 800.000 fibre in più rispetto agli stessi capi sottoposti a un ciclo normale.
È quindi l’acqua la principale causa del deterioramento delle fibre e non, come si supponeva finora, la velocità, i cambi di direzione e le pause più o meno lunghe nel movimento del cestello.
Le prove sono state condotte in svariate condizioni realistiche tipiche di un ambiente domestico, prendendo in considerazione diversi tessuti, temperature dell’acqua e durate dei cicli di lavaggio.
La strumentazione è in grado di dare risultati molto precisi attraverso diversi fattori che spaziano dall’analisi chimica a tecniche avanzate di analisi dell’immagine.
Dai risultati è quindi emerso che i precedenti consigli di usare una maggior quantità di acqua calda abbinata a minori e più delicati movimenti del cestello al fine di ridurre il deterioramento del bucato porta addirittura al risultato opposto.
Rimane invece valida la raccomandazione di effettuare il lavaggio a pieno carico.
Le microscopiche particelle che si riversano nell’oceano dalle lavatrici domestiche sono un problema autentico: ricerche condotte sempre dall’Università di Newcastle avevano due anni fa dimostrato che non solo le particelle plastiche vengono regolarmente ingerite dalla fauna marina, ma ormai si sono diffuse ad ampio raggio penetrando negli strati profondi degli oceani.
Tentativi per porre un freno a questa forma di distruzione dell’ambiente sono in atto soprattutto attraverso filtri di depurazione negli ultimi tratti, lo sbocco delle acque reflue nei fiumi o in mare (e in questo purtroppo l’Italia è indietro rispetto al resto d’Europa). Ma anche le aziende si stanno impegnando e sono già in commercio lavatrici dotate di filtri adeguati posti già “a bordo” degli elettrodomestici e con tecnologie sempre più perfezionate al duplice scopo di preservare i nostri vestiti durante il lavaggio evitando nel contempo la dispersione di fibre pericolose per la salute del pianeta.
Ricerche come quella della Newcastle University forniscono quindi indicazioni preziose per le aziende stesse ma anche per noi consumatori, aiutandoci a porre in atto con maggior consapevolezza i comportamenti più adeguati.
Di Corrado Festa Bianchet