I graffiti di un tempio rivelano per la prima volta la storia dell’antico Sudan (I parte)
Oggi la regione del Sudan settentrionale, che confina con l’Egitto, è pressoché deserta.
Una volta però questa parte della Valle del Nilo era la casa di una delle civiltà africane più potenti e ricche: i Kush.
I Kush commercializzavano l’oro e gli altri prodotti dell’Africa Centrale con l’Egitto e con tutti i popoli che vivevano intorno al Mediterraneo e, per più di 2000 anni, tennero saldamente in mano le redini del potere di questa regione, che raggiunse la sua massima estensione quando conquistò l’Egitto e lo guidò per tutta la venticinquesima dinastia, più precisamente dal 725 al 653 avanti Cristo.
Dal 300 avanti Cristo fino al 300 dopo Cristo i Kush esercitarono il potere dalla loro capitale, Meroe. La città, che oggi è un patrimonio dell’UNESCO, si trova lungo il corso del fiume Nilo, a 160 chilometri da Khartoum, la capitale “moderna” del Sudan.
Oltre a Meroe, un’altra città molto importante per l’impero Kush fu Napata, l’antica capitale della regione che si trovava sulla montagna sacra di Jebel Barkal e che includeva anche la vicina piramide cimitero di El-Kurru.
C’era anche un numero impressionante e di siti sacri a Kush. E, come notato anche da alcuni visitatori, questo popolo aveva un’abitudine alquanto bizzarra: incidevano graffiti all’interno di siti sacri e importanti.
Questi graffiti possono essere visti ancora oggi in diversi luoghi sacri che facevano parte dell’impero Kush – su una piramide e su un tempio a El-Kurru, nel centro di pellegrinaggio stagionale di Musawwarat es-Sufra e nel Tempio di Iside a Philae, situato sul confine con l’Egitto.
Chi più, chi meno, siamo tutti abituati a comprendere le antiche culture quasi interamente attraverso le attività dell’élite più potente e l’arte che ha lasciato nei palazzi, nei templi e nelle tombe, ma ciò crea un’immagine distorta della vita antica – tanto distorta come lo sarebbe una simile immagine oggi.
I graffiti presenti sulle pareti dei templi Kush invece permettono di vedere alcune attività delle persone non appartenenti all’élite del tempo e che nutrivano una particolare devozione religiosa per questi luoghi particolari. È la prova che la società Kush andava ben al di là dell’élite e della classe più privilegiata.
Di Francesca Orelli
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