I satelliti ad acqua della NASA
Erano due CubeSats, satelliti a forma di scatola delle dimensioni non superiori ai 10 cm di lunghezza per spigolo, i veicoli spaziali della NASA che lo scorso 21 giugno hanno dato luogo a un test nell’orbita bassa terrestre.
Uno dei due, il “capo”, ha inviato al “subordinato” l’ordine di avvicinarsi; il motore di quest’ultimo ha quindi convertito in vapore l’acqua contenuta nel proprio serbatoio usandolo come propulsore al fine di raggiungere il satellite gemello, in attesa a una distanza di nove chilometri.
L’operazione, perfettamente riuscita, aveva lo scopo di dimostrare la fattibilità di questo genere di manovre coordinate fra mini veicoli come i CubeSat e ha quindi riguardato non solo i motori ad acqua ma anche i sensori e i sistemi di individuazione e comunicazione fra i veicoli. Va precisato che essi non sono in grado di prendere decisioni autonome ma agiscono in base a un piano preordinato dall’operatore, il quale dovrà solo dare il via alle operazioni: da questo momento in poi, la sequenza può essere eseguita senza ulteriori interventi umani fino al completamento della manovra.
In questo test erano coinvolti due soli satelliti ma naturalmente in accordo con gli scopi dello Small Spacecraft Technology Program (SSTP) della NASA in prospettiva si mira a lanciare interi sciami di micro veicoli, anche in missioni distanti dalla Terra, in grado di coordinarsi e portare a termine il compito assegnato senza la necessità di un controllo continuo da parte di un operatore, anche facendo uso di veicoli di maggiori dimensioni.
Il programma SSTP mira infatti a rendere utilizzabili ad ampio raggio nei più svariati campi di applicazione, sia pratici che di ricerca scientifica pura, tecnologie innovative sviluppate e testate tramite soluzioni a basso costo.
[Nell’immagine (credit: NASA) la rappresentazione di uno dei minisatelliti in orbita]
Di Corrado Festa Bianchet
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