L’Acropoli di Atene, uno dei siti archeologici più famosi della Grecia e che ogni anno richiama milioni di visitatori, da oggi giovedì 4 luglio fino a domani venerdì 5 luglio 2019 sarà oggetto di una chiusura straordinaria.
Il motivo? Troppo caldo: l’Ephorate of Antiquities, vista l’ondata di calura che in questi giorni sta attanagliando anche la Grecia, ha deciso per ragioni di sicurezza di chiudere il sito al pubblico dalle 13.00 alle 17.00 in entrambe le giornate.
Le temperature, nella zona dell’Acropoli, hanno toccato la soglia record dei 36 gradi, mentre nel centro città, dove l’umidità sembra essere più elevata, hanno già raggiunto i 40 gradi.
Il caldo però non è il nemico peggiore con cui si è confrontata l’Acropoli durante la sua lunga (e travagliata) esistenza.
Durante il periodo del Tardo Impero Romano, mentre l’Europa si stava avviando verso il Medioevo, il Partenone venne infatti trasformato in una chiesa dedicata alla Vergine Maria.
In pieno Medioevo invece, vista la sua posizione strategica, il Partenone perse il suo status di chiesa e, tutta l’Acropoli, venne trasformata in una fortezza per contrastare l’avanzata dei Franchi, poi successivamente quella dei Turchi.
Il danno più grave però lo subì nel 1687 quando, a causa di una granata lanciata dai veneziani, il deposito di munizioni che si trovava all’interno del Partenone saltò in aria, provocando ingenti danni al monumento.
Il sito non ebbe pace nemmeno in seguito: durante l’impero ottomano infatti un diplomatico inglese, Lord Elgin, ebbe l’idea di rimuovere la maggior parte degli ornamenti in marmo, sopravvissuti alle invasioni e ai bombardamenti del 1687, per portarli in Inghilterra.
L’Acropoli di Atene iniziò ad avere un po’ di tregua soltanto nell’Ottocento, quando cominciarono i primi restauri e i primi scavi in molti templi dell’Antichità, fino a quando, nel 1987, ottenne il riconoscimento come patrimonio dell’umanità da parte dell’UNESCO.
Un po’ di caldo quindi, tutto sommato, è ancora sopportabile per uno dei monumenti più famosi della Grecia.
Di Francesca Orelli
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